BOOK TOUR - Vibra di voci e pagine del nostro tempo Booktour
Info   ven 22 novembre 2024
Info   ven 22 nov 2024
instagram
facebook
youtube
twitter
linkedin
book-tour
book-tour
live
book-tour
newsletter
live
newsletter

ultime notizie

NEWS

L'IMPRESA CULTURALE ITALIANA AVANZA
In crescita l'industria culturale, che in Italia cresce grazie soprattutto all'architettura e design, mentre l'editoria e la stampa perdono colpi. E' quanto emerge da un'analisi di Unioncamere e centro studi Tagliacarne sul totale delle oltre 275.000 imprese culturali esistenti in Italia. Una su quattro, parliamo del 24,5%, è costituita da donne, una su 10, il 10,2%, è guidata da giovani di meno di 35 anni di età. Il peso percentuale di donne e giovani è maggiore rispetto al totale delle aziende italiane, in cui le imprese femminili sono il 22,2% e quelle giovanili l'8,7%. Hanno invece un'incidenza minore, ma comunque non trascurabile, le imprese condotte da stranieri, che costituiscono il 5,6% del totale delle imprese culturali e creative (a fronte del 10,8% complessivo).Buono il ritmo di crescita delle imprese culturali nel 2022: +1,85% rispetto al 2021, e soprattutto quello delle imprese giovanili: +2,84% con quasi 600 imprese in più. Cresce anche la partecipazione degli stranieri (+2,04) mentre inferiore alla media e' l'aumento delle imprese femminili (+1,19%).

"Forse per l'alto livello di scolarizzazione (la domanda di laureati nelle imprese culturali e creative nel 2022 e' pari al 40,6%, a fronte del 15,1% del totale economia) o per l'utilizzo di piattaforme digitali (da quelle musicali a quelle televisive e dell'editoria) l'industria della cultura mostra di essere attrattiva per i giovani e per le donne d'impresa e da' spazio a giovani occupati di 25-44 anni in modo piu' accentuato rispetto al resto dell'economia", sottolinea il presidente di Unioncamere, Andrea Prete che aggiunge "facciamo in modo che questo universo, che ha una ricaduta importante sull'economia del Paese, continui a crescere e a rafforzarsi".
Scopri di più

NEWS

JU BUK 2023
Giunta alla terza edizione, diretta dalla sociologa e giornalista Eleonora de Nardis e promossa dal comitato Scanno Borgo in festival con gli alti patrocini del ministero della Cultura e della Regione Abruzzo, la manifestazione animerà come sempre il caratteristico borgo antico nel Parco nazionale d’Abruzzo, tanto amato dai fotografi Henri Cartier-Bresson e Mario Giacomelli. Madrina dell’evento, l’attrice Valentina Melis, attivista per i diritti civili e le pari opportunità e testimonial dell’associazione Differenza Donna, in prima linea contro la violenza. La “tre giorni” tra memoria e liberazione Tra memoria e capovolgimento di stereotipi, la prima giornata, dedicata alla narrativa, si è aperta con l’esordiente abruzzese Kristine Maria Rapino con “Fichi di marzo” (Sperling&Kupfer) che narra le vicende di una famiglia di pastai della Majella. A seguire, la scrittrice siciliana Anna Giurickovic, che vive tra Roma e Parigi, che nel 2020 ha pubblicato “Il grande me” (Fazi). Nella seconda giornata protagonista la saggistica . Sul palco la giornalista e antropologa Tiziana Ciavardini con il suo lavoro “Ti racconto l’Iran. I miei anni in terra di Persia” (Armando) e l’economista femminista Azzurra Rinaldi, direttrice della School of Gender Economics di Unitelma Sapienza, con “Le signore non parlano di soldi” (Fabbri). Nella terza giornata del festival la giallista pluripremiata Piera Carlomagno con “Il taglio freddo della luna” (Solferino) e l’afropartenopea Djarah Khan con il suo acclamato “Ladri di denti” (People).
“La letteratura ci insegna il riscatto collettivo” “Dialogo, radici, interculturalità e istanze femministe nella letteratura delle Donne sono la cifra dell’edizione di quest’ anno – spiega de Nardis ad Alley Oop – insieme a un’ideale staffetta generazionale che vede anche autrici esordienti in rassegna. In un momento in cui non è più possibile restare indifferenti alle istanze di libertà che ci provengono dalle donne di tutto il mondo, afghane e iraniane prime su tutte, e in cui invece l’Europa sembra in pieno reflusso, mi sento di affermare che una al posto di tutte non è libertà: è patriarcato. Perché lo spazio delle donne non è mai quello dentro il quale arriva a conquistare il centro una donna sola che si erge a portavoce appassionata di tutti i valori patriarcali. Dire “Io sono” invece che “Noi siamo”, è come dire “Io sono Io”; si alimenta un culto e un racconto della propria individualità che basta a sé stessa, restaurando e riaffermando valori e categorie del sovranismo assoluto”.
La letteratura delle donne, per de Nardis, insegna l’opposto: “Da Virginia Woof a Simone de Beauvoir: il riscatto di una deve farsi riscatto collettivo, in un disegno corale che abbracci anche, in maniera inclusiva e intersezionale, le donne migranti e le istanze transfemministe, visto che discriminazioni e stereotipi a danno di ogni minoranza e differenza hanno la medesima atavica matrice culturale”.
Il premio alle esordienti Non è mancato neanche quest’anno, nel segno del passaggio di testimone da una generazione all’altra, il premio Ju Buk Opera Prima, affidato alla direzione artistica di Valeria Gargiullo, enfant prodige di Salemi e vincitrice dell’ultimo Premio John Fante con il suo “Mai stati innocenti”. Vincitrice del premio la scrittrice esordiente Elena Premoli con il libro "Per tutti i giorni della tua vita".
Scopri di più

NEWS

I 40 ANNI DEL CIRCOLO DI CULTURA OMOSESSUALE
Quella del 28 giugno è ed è stata una data davvero significativa per la comunità LGBTQIA+ con i festeggiamenti del Gay Pride Day e, nella Capitale, dei 40 anni del Circolo di Cultura Omossessuale Mario Mieli. Per l’occasione, alla Pelanda del Mattatoio di Testaccio è stata inaugurata la mostra “RIVOLUZIONARI3”, aperta gratuitamente al pubblico da mercoledì 28 giugno a domenica 30 luglio con ben 5 atelier che ripercorrono la storia del circolo romano: gli anni della fondazione, la drammatica lotta all’aids, le famose serate al Muccassassina, i volti del Pride e i “Rivoluzionari3” oggi.

Se ci si prende del tempo per visitare gli allestimenti, veniamo colti da domande, siamo spinti a guardarci intorno e a cercare di capire a chi più assomigliamo. C’è, all'interno di quelle gallerie figurali, chi porta i capelli lunghi, chi corti, chi è più giovane e chi è più saggio, chi è vestito elegantemente, chi porta i sandali, chi fa l’impiegato, l’avvocato e chi il designer o il tatuatore. Resta l'impressione di avere a che fare con una comunità vasta ed eterogenea al suo interno che ancora sa fare cultura, interrogando e interrogandosi. Tantie anzi tantissime le immagini che mostrano le iniziative portate avanti dall’anno della fondazione del circolo, che corrisponde a quello del tristissimo suicidio di Mario Mieli avvenuto nel 1983. Non è da un giorno che esiste la questa comunità e mio malgrado, per rendermene conto e per conoscere la figura del complesso intellettuale che è stato Mario Mieli, mi ci sono voluti 27 anni e l’invito di un caro amico alla Pelanda. Il giovane milanese morto suicida a trent’anni, trovato con la testa nel forno dopo aver inalato del gas, è stato fieramente “rivoluzionari3” già quarant’anni fa. Lo/la/L3, (confesso di fare fatica con l'utilizzo di questi pronomi), è ritratto mentre posa davanti al Vaticano con un carabiniere o sorridente con il trucco e degli scuri e affascinanti occhiali da sole. Nel suo celebre trattato Elementi di critica omosessuale (1977), Mario Mieli rielabora alcuni degli spunti teorici della teoria della sessualità di Freud, attraverso la lettura che, tra gli anni cinquanta e sessanta, ne aveva fatto il filosofo francese Herbert Marcuse. In base a questa riflessione, Mieli riteneva che si dovesse denunciare come assurda e inconsistente l'opposizione ideologica "eterosessuale" vs "omosessuale", essendo viziato il principio stesso di "mono-sessualità". A questa prospettiva unilaterale, che l'intellettuale riteneva incapace di cogliere la natura ambivalente e dinamica della dimensione sessuale, Mieli ha preferito opporre un principio di eros libero, molteplice e polimorfo. Per Mieli era tragicamente ridicola «la stragrande maggioranza delle persone, nelle loro divise mostruose da maschio o da "donna" [...]. Se il travestito appare ridicolo a chi lo incontra, tristemente ridicolissima è per il travestito la nudità di chi gli rida in faccia». Per raccontare la storia del Circolo è necessario partire dal contesto culturale dei movimenti di liberazione omosessuale, che dagli anni Settanta già con i moti newyorkesi di Stonewall, portarono la cosiddetta “questione omosessuale” nel dibattito pubblico. Sono anche gli anni dei primi collettivi e delle prime associazioni, come il “FUORI!” – Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano (1971); delle prime manifestazioni pubbliche di omosessuali in Italia, come quella di Sanremo nel 1972 per protestare contro il Congresso internazionale sulle devianze sessuali; dei campeggi gay: nel 1979 il primo a Capo Rizzuto in Calabria, dove si incontrarono per la prima volta le personalità che avrebbero fatto la storia del movimento negli anni a seguire.

Negli anni ’80, oltre all’impegno costante richiesto dalla lotta politico-culturale, le associazioni dovettero affrontare anche l’arrivo della pandemia dell’AIDS. In Italia il primo caso fu diagnosticato nel 1982, mentre i primi due decessi furono registrati l’anno dopo. Anche il circolo Mario Mieli si impegnò con una concreta risposta emergenziale per contenere l’epidemia, attivandosi sul piano della ricerca, partecipando e dando vita a convegni e sottoscrivendo importanti collaborazioni con istituti sanitari nazionali. Dal 1989, per primo a Roma, il Circolo svolse un servizio di assistenza domiciliare per persone con AIDS non autosufficienti, mentre dal 1993 venne attivata l’unità di strada per il servizio di informazione. Tutte queste attività sono ben documentate all’interno della mostra con gli storici documenti degli accordi tra il circolo e le istituzioni, contenuti nelle teche.

La sezione dedicata al Muccassassina (la rivolta delle mucche contro i loro carnefici), uno dei party più famosi d’Italia, ripercorre le tappe delle serate nate per autofinanziarsi e per sostenere le spese dei servizi gratuiti offerti dal circolo, legati alla lotta contro l’AIDS, contro la paura, lo stigma e il rischio di isolamento dovuti al clima di terrore che accompagnava il virus. La storia di Mario Mieli e del circolo di cultura omosessuale rappresenta ogni battaglia portata avanti dalla Comunità LGBTQIA+ con enorme orgoglio, considerati gli importanti risultati raggiunti. Il Circolo ha organizzato a Roma il primo Pride nazionale nel 1994 e sempre a Roma nel 2000, tra l’altro l’anno del Giubileo, è riuscito a far ospitare il primo World Pride. Le foto in mostra ci parlano di madri, padri e lavoratori di ogni età e mostrano con chiarezza le molteplici voci di Roma e dell’Italia che continuano a gridare per i diritti civili. Si cerca, con questa mostra, una continuità, come se la voce del Mario Mieli dovesse continuare ad alzarsi sul pregiudizio e sulla stupidità. Molti sono ancora i vuoti legislativi che le poche leggi esistenti (164 e Cirinnà), e quelle mai approvate (DDL Zan), hanno lasciato rendendo la quotidianità di molti un percorso ad ostacoli.

Giorgio De Paolis
Scopri di più

NEWS

OSSERVATORIO SULLE MIGRAZIONI A ROMA E NEL LAZIO
La gran parte degli indicatori di presenza (sul territorio, nel mercato del lavoro, nella scuola), pur in ripresa rispetto alla fase pandemica, restano inferiori ai livelli del 2019. Ciò nonostante, il Lazio e la Città metropolitana di Roma si confermano in Italia al secondo posto tra le regioni e al primo tra le province. In crescita solo gli studenti stranieri dei gradi scolastici più alti, le seconde generazioni, i permessi di soggiorno di lunga durata, le attività autonome e le rimesse inviate nei Paesi di origine. Calano le nascite da coppie straniere e le presenze nei primi due gradi della scuola. Nel 2021, per la prima volta da quando l’Italia è un Paese di immigrazione, il numero degli stranieri residenti nel Lazio è calato, attestandosi a 618.142 persone, il 10,8% della popolazione complessiva (in Italia 8,5%). La diminuzione è stata di 17.427 unità (-2,7%, in linea con la media nazionale) ed è effetto non solo del cambiamento di metodologia del Censimento, ma soprattutto della riduzione del saldo naturale (differenza tra nati e morti) e del saldo migratorio (differenza tra stranieri in entrata e in uscita dal territorio nazionale), effetti a medio termine della pandemia e delle sue conseguenze (inclusi rallentamenti e difficoltà nel perfezionamento delle pratiche di iscrizione anagrafica dovuti alla ridotta o più difficoltosa operatività degli uffici pubblici). L’andamento negativo è stato trainato dalla Città metropolitana di Roma, dove i residenti stranieri sono diminuiti di 17.339 unità (-3,4%). Il calo ha coinvolto soprattutto le donne (-13.688), la cui quota sul totale dei residenti stranieri resta però maggioritaria (51,4%). Anche per l’area romana si tratta della prima diminuzione della popolazione straniera dopo oltre 20 anni, durante i quali la crescita era stata ininterrotta e la popolazione straniera era quasi quadruplicata. Nel Lazio la dinamica naturale ha registrato tra gli stranieri un calo delle nascite (-8,0%; in Italia -4,8%) e un aumento dei decessi (+15,9% e +8,6% in Italia). Il contributo delle donne straniere alla fecondità, che nel 2010 era di circa 90 figli ogni 1.000 donne, nel 2021 è sceso a circa 30 figli, a seguito del progressivo invecchiamento della popolazione straniera, della convergenza dei comportamenti demografici tra stranieri e italiani, delle acquisizioni di cittadinanza italiana. Nonostante il trend decrescente, il saldo naturale degli stranieri resta positivo anche nel 2021 (+4.059 unità), a differenza di quello degli italiani, diminuito di 30.761 unità. Per l’80,7% i cittadini stranieri della regione si concentrano nella Città metropolitana di Roma (498.958), al cui interno risiedono per il 67,9% nel capoluogo (più di 2 su 3) e per il 32,1% negli altri comuni; la quota residua (119.184 persone) vive nelle altre province: 8,5% in quella di Latina (52.718), 4,8% in quella di Viterbo (29.870), 3,8% nel frusinate (23.377) e 2,1% nel reatino (13.219). Nel Lazio sono presenti 186 cittadinanze, ma è la Romania, con oltre 196mila residenti (+3.490), a rappresentare quasi un terzo degli stranieri (31,8%); il secondo gruppo è quello dei filippini (-2mila), con una quota del 6,9%, cui seguono bangladesi (6,5%) e indiani (5,1%). Tra i primi 15 gruppi nazionali, oltre ai romeni crescono solo nigeriani e pakistani. La collettività ucraina, che nel Lazio.
Scopri di più

NEWS

NUOVA LUCE DA POMPEI A ROMA
Per la prima volta una mostra affronta in maniera organica la tecnologia, la dimensione estetica e le atmosfere della luce artificiale nel mondo romano. Nessun’altra città dell’antichità ha restituito così tanti sistemi di illuminazione come Pompei. La mostra porta a Roma 150 reperti originali in bronzo dalle città vesuviane: lucerne ad olio, candelabri, porta lucerne nonché supporti per lucerne figurative e torce, opere custodite presso Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN) e il Parco Archeologico di Pompei (PAP). Oltre a celebri statue e sculture di lucerne, l’allestimento presenta anche reperti appartenenti al Museo Nazionale Archeologico di Napoli non esposti in pubblico, molti dei quali restaurati appositamente per l’occasione e, in questa sede romana, anche da circa 30 opere pertinenti alle collezioni dei Musei Capitolini, Antiquarium. L’esposizione è ideata dalla Prof. Ruth Bielfeldt, docente di Archeologia Classica dell’Università Ludwig-Maximilian di Monaco, nell’ambito di un progetto di ricerca che ha affrontato questi materiali e tematiche in maniera sistematica, entro una cornice scientifica interdisciplinare. L’arte della luce, la capacità di plasmare la materialità per restituire una luce vera, reale, una fotografia del quotidiano. L’esposizione è arricchita da riproduzioni fedeli prodotte in cooperazione con la Fonderia d’Arte San Gallo AG, nonché da simulazioni digitali su modelli tridimensionali. Le lucerne di Pompei sono uno dei tesori archeologici più interessanti della città antica. Queste lampade a olio furono utilizzate per illuminare le case, le strade e i templi della città durante l'epoca romana. La produzione di lucerne a Pompei iniziò nel III secolo a.C. e continuò fino all'eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. Durante questo periodo, la produzione di lucerne diventò una vera e propria industria, con diverse botteghe che producevano lampade di diverse forme e dimensioni. Le lucerne di Pompei sono diventate famose per la loro bellezza e la loro varietà. Le lampade erano decorate con motivi geometrici, animali, figure mitologiche e scene di vita quotidiana. Molte lucerne avevano anche iscrizioni che indicavano il nome del produttore o del proprietario. Le lucerne erano fatte principalmente di argilla, ma alcuni esemplari erano fatti di bronzo o di altri metalli. Le lampade erano dotate di un serbatoio per l'olio e una o più fori per la combustione. Il design delle lucerne era pensato per massimizzare la luminosità e minimizzare il fumo e l'odore. Sono diventate un'importante fonte di informazioni sulla vita quotidiana dell'epoca romana. Le iscrizioni sulle lampade ci danno informazioni sui produttori, i proprietari e le persone che le utilizzavano. Inoltre, le decorazioni sulle lucerne ci danno un'idea della moda e degli stili artistici dell'epoca. Oggi, sono conservate nei musei di tutto il mondo, tra cui il Museo Archeologico Nazionale di Napoli e il British Museum di Londra. Tuttavia, molte delle lampade originarie si trovano ancora a Pompei, dove possono essere ammirate nel loro contesto storico originale. Le lucerne presentano molte caratteristiche comuni, come ad esempio la forma piatta o leggermente concava, con un bordo rialzato per evitare che l'olio fuoriesca. Tuttavia, esistono anche lucerne di forma cilindrica, sferica o a forma di cono. Spesso sono decorate con motivi geometrici, fregi, figure mitologiche o scene di vita quotidiana. Queste decorazioni sono incise sul corpo della lampada o sulla parte superiore del beccuccio. Funzionano grazie alla combustione dell'olio contenuto nel serbatoio. Lo stoppino, solitamente di lino o canapa, viene immersa nell'olio e accesa. Si potranno ammirare la varietà delle decorazioni geometriche come linee, punti, cerchi e forme astratte, come pure figure mitologiche, satiri, nereidi, tritoni, fauni e altri esseri fantastici. Motivi utilizzati sia per riempire gli spazi vuoti sul corpo della lampada che per simboleggiare la protezione divina o per esaltare la bellezza e la grandiosità dell'antica cultura romana. Osserviamo anche scene di vita quotidiana come giochi, banchetti, lavori agricoli e artigianali e attività commerciali. Queste scene sono spesso molto dettagliate e forniscono una preziosa fonte di informazioni sulla vita dell'epoca. Le lucerne decorate con animali come leoni, tigri, cavalli, cervi e uccelli simboleggiavano la forza, la velocità o la bellezza. Le case e le strade erano illuminate, ma anche i templi, venivano posizionate su altari o mensole, accese per illuminare gli interni dei templi durante le cerimonie religiose e come luci votive o offerte. Le lucerne più piccole erano utilizzate anche come regali per gli ospiti. Il tema dell’illuminazione ci offre una nuova prospettiva per comprendere i diversi ambiti della vita nella Roma antica: festa e religione, magia ed erotismo, sogno e notte. L’illuminazione crea uno spazio umano di condivisione, come ci ricorda la curatrice citando Diogene: “con la lampada si può trovare l’uomo”. La mostra è particolarmente curata sotto il profilo didattico, il linguaggio dei testi esposti, l’attenzione nel ricreare l’atmosfera magica dell’antico, incoraggiano momenti di riflessione culturale per vivere la luce di allora e perdersi nella rifrazione delle immagini che come farfalle di luce ci incantano. La prospettiva antropologica sulla luce si arricchisce mettendo in relazione passato e presente grazie all’inserimento delle lampade realizzate dal light designer Ingo Maurer (1932–2019), le cui creazioni poetiche, ludiche, bizzarre, sovversive, testimoniano la vitalità di un rapporto creativo con la luce che prosegue da oltre duemila anni. Il percorso espositivo, articolato in 9 sale, ripercorre il ruolo della luce nella vita quotidiana e sociale, in un dialogo degli stessi oggetti archeologici con fonti letterarie. Ad accogliere i visitatori un’installazione che contrappone il Sileno, una lucerna antica, all’opera moderna “Remember Yves” di Maurer, una scultura blu di forte impatto estetico che rimanda al salto nel vuoto di Yves Klein (1960) interpretato come incarnazione di luce in movimento. Nella prima sala un video introduttivo didattico spiega il progetto scientifico “Nuova Luce da Pompei” e segue il percorso della lucerna sontuosa con pipistrello dalla Villa di Arianna di Stabia dalla scoperta nel 1761 alla sua riproduzione presso la Fonderia San Gallo con la messa in opera nel 2022 della copia per riprodurre la luce. Il modello della Casa del Poeta Tragico nella terza sala, ci offre un’idea sulle condizioni di luce della domus Romana, luogo caratterizzato da una semioscurità. Nella quarta sala si potrà ammirare l’originale della lucerna con pipistrello, oggetto iconico della mostra, la cui copia potrà essere toccata dai visitatori per mettere a fuoco gli aspetti tecnici e estetici del bronzo. Nelle sale successive, viene poi proposto un approfondimento della luce legata al riposo e al consumo di cibo che, attraverso lucerne teatrali e giocose, stufe e scaldavivande, offre una ricostruzione della complessa coreografia della luce legata alla convivialità e la sua funzione di “regolatore sociale”. Interessante l’esperienza del Triclinio Virtuale, che potrà essere vissuto in prima persona attraverso occhiali 3D, nella luce notturna del 79 d.C. La simulazione virtuale della luce è basata su un'esatta ricostruzione degli affreschi murali e su calcoli dell'intensità luminosa delle fiamme e delle proprietà riflessive dei materiali. I visitatori con una “torcia virtuale” potranno accendere delle lucerne esercitando il controllo sulla luce e quindi sulla propria percezione. Nelle ultime sale si apre un ampio spettro di atmosfere diverse, l’aura religiosa viene evocata attraverso gli arredi del larario della Casa della Fortuna di Pompei con il corredo di statuette bronzee e un’elegante lampada a forma di piede umano, esposto per la prima volta nella sua integrità. Le lucerne falliche, appartenenti a tintinnabula provenienti da taberne e botteghe, testimoniano gli aspetti magici, dionisiaci ed erotici. Oltre al noto Efebo della Casa dell'Efebo da Pompei, viene presentata una statuina porta fiaccola di un fanciullo orientale nudo, un’opera inedita e sconosciuta, scoperta nel 1818 nella clinica del chirurgo Pumponius Magonianus non lontana dal Foro di Pompei. La sezione sull’estetica della luce mostra la complessa scenografia multi ombre che creavano le lucerne romane, che alla luce delle antiche teorie sull’ombra in Platone o Plinio divengono più chiare. Una delle sale è dedicata alla fonderia Borbonica che nel XVIII e XIX secolo riproduceva le suppellettili pompeiane che avevano riscosso un certo fascino dopo le scoperte archeologiche fra 1750 e 1820. È presentato qui un insieme di elementi ricomposto arbitrariamente descritto da Winckelmann nel 1761 e restaurato nel 2021. La mostra si chiude con l’eruzione del Vesuvio, qui non troviamo i calchi umani, ma gli oggetti in bronzo a raccontare il momento della paura e della fuga dall'antichità ai giorni nostri. Una piccola lucerna a forma di testa di Africano (MANN) che accompagnava due pompeiani durante la fuga, sarà l’unica a sopravvivere. L’ultima sala, dedicata ai reperti di Roma, viene proposta l’altra faccia del rapporto tra uomo e luce nell’antichità romana. Luce, calore e fuoco possono generare eventi drammatici, che travalicano la sfera privata e investono la vita della città tutta. Sono così ripercorse le vicende della città in relazione con gli incendi e con le modalità di organizzazione messe in atto per fronteggiare questo fenomeno. Particolare rilievo viene dato alla Caserma (Excubitorium) dei Vigili della VII Coorte in Trastevere, da cui proviene una fiaccola, raro reperto legato verosimilmente all’illuminazione pubblica. Altri oggetti in bronzo, lucerne, candelabri, una statuetta, suggeriscono quali potevano essere le suppellettili che adornavano le case patrizie nella Roma imperiale. di Roberto BENATTI
Scopri di più

NEWS

GUERRE DIMENTICATE
Da Myanmar a Rd Congo, dall’Afghanistan a Mali e Sudan: l’Universities Network for Children in Armed Conflict (UNETCHAC), con il supporto del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale in Italia, lavorerà su queste e altre zone di conflitto e post conflitto con l’obiettivo di sviluppare dati sensibili e analizzare abusi e violenze contro i bambini. Oggetto di analisi saranno anche i processi di reintegrazione sociali a favore di questi minori. Trattasi del primo lavoro di ricerca su scala globale svolto da un Network universitario specializzato sui bambini in conflitto armato. Il “Piano Nazionale sulla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni 1325 e l’impatto dei conflitti su bambini e bambine” è il Progetto della Universities Network for Children in Armed Conflict (UNETCHAC) realizzato in collaborazione con l’Istituto di Studi Politici S. Pio V: ricercatori accademici da Africa, Asia, Sud America, Europa dell’Est saranno i motori di questa analisi quantitativa e qualitativa in cui lo studio diventa l’arma per rendere visibili le guerre invisibili, per analizzare le condizioni legali e sociali che contribuiscono alla perpetrazione della violenza sui bambini anche considerando gli obiettivi del IV Piano di Azione Italiano per l’attuazione della Risoluzione 1325 su “Donne, Pace e Sicurezza”. “La ricerca intrapresa dall’Universities Network for Children in Armed Conflict riveste una importanza particolare. Intesa a documentare non soltanto la dimensione quantitativa delle gravi violazioni a cui sono esposti bambini e bambine nei conflitti armati in varie aree del mondo, ma soprattutto a mettere in luce le criticità di tali violazioni da un punto di vista qualitativo, i suoi risultati sono destinati a costituire un indispensabile punto di riferimento per l’adozione di misure effettive per risolvere tali criticità nel quadro di una cooperazione internazionale che ci auguriamo sempre più attenta ed efficace su un tema che interessa direttamente i diritti delle generazioni future”, sottolinea Fausto Pocar, Presidente UNETCHAC e Presidente dell’Istituto di Diritto Internazionale Umanitario IIHL – Sanremo. “Due aspetti occorre evidenziare sulla ricerca che il Network sta conducendo in 4 continenti e sulla ricerca che sta per essere ultima in Medio Oriente e, in particolare, in Siria, Yemen e Iraq. Il primo aspetto innovativo risiede nel fatto che si tratta di una ricerca svolta da un Network di oltre 50 università con il coinvolgimento dunque di professori e ricercatori provenienti da diverse realtà geografiche e scambio quindi di esperienze – dichiara Laura Guercio, Segretario Generale di UNETCHAC. Un secondo aspetto d’innovazione risiede nel fatto che tale analisi è svolta in relazione e nell’ambito del IV Piano Nazionale italiano sulla Risoluzione UNSCR 1325 su Donne Pace e Sicurezza, in merito al quale l’Italia è sempre stata in prima linea per la promozione e attuazione. Ci auguriamo che questo sia solo l’inizio di un percorso di analisi e ricerca che possa durare negli anni”. “La ricerca portata avanti dal Network svela senza infingimenti il nocciolo duro e tragico sovente trascurato dalla comunicazione e dall’informazione mainstream: il turpe e differenziato fenomeno delle violazioni a cui sono soggetti bambine e bambini nei vari teatri di guerre, esse stesse sovente dimenticate e trascurate da parte dell’attenzione di osservatori ufficiali più concentrati su altre vicende che trovano posto nelle prime pagine delle agende ufficiali”, commenta Paolo De Nardis, Vice Presidente UNETCHAC, Presidente dell’Istituto di Studi Politici S.Pio V.
Scopri di più

video youtube

Calendario

PROSSIMO EVENTO